per biondi
DONATO VALLI
SCHEGGE DI SOLITUDINE - olio su yuta - cm 120x120 - 1983 |
... Così, Uccio Biondi ha corso in segreto e direi a titolo sperimentale, l’avventura di un’avanguardia formale, travagliata e appunto per questo non ostensibile, mortificata nella sua esplosiva potenzialità, timorosa della propria imprevedibilità. Eppure quell’ esperienza è servita al pittore, serve tuttora al pittore, per effettuare la scomposizione tra la forma e il contenuto, per disincrostare l’oggetto della sua trama di affetti e di sentimenti comuni.
Non è un operazione a sè stante, e perciò è una svolta di natura metodologica, quasi uno strumento per iniziare la ricerca di nuovi universi, per dare sbocco a quella insoddisfazione intellettuale che finisce con l’avere implicazioni anche di natura psicologica ed esistenziale. Infatti, attraverso questa sperimentazione il pittore mette in crisi l’accordo tra l’apparenza e la realtà, l’adesione del colore al proprio oggetto; s’accorge che esiste una sottile corrispondenza fra il quadro e il proprio io, tra il colore e la propria esistenza e la propria insoddisfazione.
Svincolato dal pregiudizio naturalistico e realistico, il colore diventa quasi memoria, rievocazione di sussulti interiori, acquista una vita propria ed autonoma che è l’esatto corrispettivo di quella interiore dell’artista. Il quale, quando si rimette davanti alla tela bianca sente di non essere più dominato, ma di essere divenuto il dominatore, il responsabile in prima persona della vita degli oggetti e insieme della sua esistenza; e che per tanto occorre trovare il momento magico, il tono particolare che possano offrire il senso di questa corrispondenza, di questa avvenuta integrazione tra l’io e la realtà. Ecco: i quadri che noi oggi osserviamo sono esattamente la trasposizione figurale di questa nuova condizione, costituiscono il primo approdo, forse ancora precario, ma certamente gratificante e consolatorio di questa avventura verso nuovi mai visti universi.
Il primo dato immediatamente percettibile è la riduzione della esuberanza dei colori ad un tono insistito e fondamentale: il grigio.
Sappiamo tutti che di Uccio Biondi la prima cosa che colpiva era il suo acceso colorismo, quasi che gli oggetti fossero investiti dalla ossessiva luce meridiana dei nostri paesi d’estate. Ora, invece, i quadri sembrano offrire una gamma di variazioni sul tema del grigio, pur non rinunciando alla rappresentazione del mondo paesano e contadino che è usuale nell’arte di Biondi. Grigi impastati, offerti in una successione cromatica che tende più al nero che al bianco, con accentuazione di tonalità che hanno risvolti psicologici di dramma pacato, inerte.
LUMACHINE - olio su carta di pesce su tela |
Diresti che la massa dei corpi, degli oggetti, sia matericamente compatta da impedire una ulteriore selettività dei colori incidenti, per cui la luce più che dare una dimensione esterna rivela l’anima dell’oggetto, il suo nascosto tremore, il suo quotidiano supplizio. Potremmo dire con immagine schematica, ma definitoria che alla gloriosa stagione dell’estate è subentrata quella pensosa dell’autunno. Non cambia la tematica: essa ha sempre come referente privilegiato quel mondo autoctono e solenne del quale parlammo nella precedente presentazione, cioè il paese avvertito come condizione d’anima, ragione d’esistenza, la civiltà rurale coinvolta a un momento di autenticità irripetibile, di riscoperta di valori periclitanti sull’onda di una massificante e minacciosa medietà; però oggi essa non è più declamata con la violenza del colore, ma viene quasi invitata ad esprimersi con la forza rude della sua semplicità, della sua immediatezza, della sua inerme e tragica umiltà.
Ecco perché anche il colore piuttosto che accarezzato, edonisticamente sfruttato viene quasi patito. Non c’è godimento in questi quadri, ma sofferenza d’uomo che sente in pericolo la sua esistenza, il suo mondo; donde alla piacevolezza del ricamo, alla cordialità del racconto, alla compiacenza della linea che si incurva con dolcezza, subentra una spazialità più ampia, delimitata in campi di schiettezza elementare, nei quali riesce vincitrice una geometrica linearità di partiture squadrate come fondali del teatro della vita. A questi risultati Biondi è pervenuto grazie a un’opera di impietosa scarnificazione sia del colore che della sua tematica. La forma, così, raggiunge effetti di essenzialità espressiva, in cui il pudore di un’ancestrale umiltà si traduce in orgoglio di certezze artisticamente e poeticamente vissute. La tela vibra di una umanità alla quale conferisce la tensione del vero, il quotidiano intreccio di vita e di contemplazione, di distacco e di adesione. Il quadro diventa, così, un oggetto concluso autonomo ed autosufficiente. In esso tutto è perfettamente legato in una misura di organicità che non lascia adito a slabbrature estetiche e ideologiche. Si pensi, ad esempio, alla naturale integrazione di figura e di natura morta. Anche in questo caso non c’è nessuna funzione decorativa o di aprioristica simbologia; c’è, si, spesso una intenzionalità contrastiva di colori che anima il quadro e ne fa risaltare la sostanziale tristezza, ma la natura morta non è esterna alla creazione, non costituisce un dopo, se bene uno dei momenti visibili di uno stesso impulso creativo. Perché, infatti, unitaria è la genesi di questo ciclo in ogni suo momento e in ogni suo particolare. Siamo, in definitiva, di fronte a un’epopea dell’umile e del quotidiano, che è esente, però, da un’oggettivazione volgarmente realistica. Essa è, insieme, narrazione di una storia pubblica e privata; l’autobiografismo si intreccia con il corale. Io non saprei darmi ragione altrimenti di questo sentimento del sacrificio che permea l’intero ciclo; si tratta, cioè, di una sorta di supplizio del colore, inteso come fase obbligatoria di passaggio per l’esaltazione. E a concorrere a questo rito, ognuno per la sua parte di mortificazione di rinascita, sono insieme la comunità popolare e paesana, l’individuo-artista che si annulla e insieme si caratterizza in quella comunità, e direi persino lo stesso quadro, la stessa idea di pittura che viene crocifissa per risorge dalle ceneri della propria quotidiana consunzione.
Io non so se questo sia un punto di arrivo o piuttosto una fase che prelude ad ulteriori conquiste; certo si è che siamo ad un punto di massima coincidenza della pittura con la vita, ad un punto, cioè, di totale sincerità, di scoperta confessione, nel quale l’artista ha giocato d’azzardo, puntando tutto il suo bagaglio di esperienza e di cultura. Lo accompagna solidale il nostro augurio!
Lecce 21 marzo 1982