frame tratto dal video Boomboniera
L'IMMOBILITA' - NON
ANGELA ROMANO
L’immobilità-non di Uccio Biondi è cascata di frammenti, meteore che arrivano incandescenti tra le scie, simili a saette vero di noi dentro il buio circostante.
(...) Un bacio, un assolo, un ticchettio: sembianze di fine che si aprono come un fiore scuro nel presente vivo ed immortale.
(…) Nel video per l’installazione Boomboniera i fotogrammi dei microambienti e delle coscienze in movimento creano la velocità che non vediamo.
Uccio Biondi rimanda a noi spettatori la coscienza del tempo e la materia della trasformazione.
Ci descrivono le piccole grandi storie dell’uomo rispecchiata nei miti, nei riti, nei culti, nella scienza e nei fatti che si dispiegano segnando i secoli ed ora, con un ticchettio martellante, formano pulsioni materiche, respiro e mens nel ritorno a noi commistioni ormonali, potere, rabbia, guerra, dolore. Pacchi regali… vita inascoltata, commedia della finzione nell’inganno della furia che scorre, rumore battente e premonitore di una esplosione già avvenuta: assenza dell’uomo.
La caduta violenta del reale-irreale costruito ed abbandonato, rinnalzato e ri-abbattuto con le sequenze che la storia ci rinvia, precipita, a memoria, sui noi testimoni muti incollati al suggello del bacio e subito abbracciati e cullati nel fluire lento del fiume noto e consapevole, il letto sicuro dell’eternità tra i veri dell’ironia e del vero soffiato da un sorriso.
Qui lo scenario, qui le armature di un palcoscenico, che sfugge e si incastra tra le pieghe del tempo e dello spazio: noi specchio e rappresentazione della mutazione. Non Teatr-O della Filosofia, non Teatr-I, banali luoghi comuni per le diffusioni collettive, ma noi stessi, installazioni movimenti dell’abito camaleontico… Restiamo sulla scena, figure indecise, sostituite e trasformate nelle icone colorate, sapienti-incipienti ove la massa è plastica, parlante, densa.
Il rosso della definizione ci avvolge potente mentre il piccolo labbro aperto in una rumorosa e silenziosa O c’induce al silenzio. Lì il messaggio di Uccio Biondi: nella minuta voragine che urla il vuoto abissale. Il profondo, oscuro sovrasta il colore. Annega in esso l’uomo attratto e perso in quell’apparenza colorata e vistosa che ci assale ingrata. Dal buio denso, quasi palpabile, ergendosi sopra i pacchi regalo, aldilà del ticchettio, dei colori, delle poltrone e figure assise, solenne S’impone il sacrificio della vita alla libertà. Essa “non è spazio libero” (Gaber), ma ricordando Dante: “Or ti piaccia gradir la sua venuta: libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta” (Purgatorio-Canto 1), diviene inno e riconoscimento.
Biondi traccia con rigore la meta attuale e forzata della straripanza e del gioco: l’interpretazione delle parti, il palco da calcare, le quinte supporto alla vestizione della maschera, il sipario mobile chiusura su atti unici e respiri affannosi dove attori ormai svuotati dall’assenza del pubblico restano muti. L’autore, “sagomando il buio”, ci impone piccoli spiragli intitolati all’oblio di un presente vestito di stracci, farsa senza memoria e storia.
Visione cosmica quella di Biondi, intransigente e reale, che si ammorbidisce nel saluto, nella quotidianità, nel passaggio.